Mentre mi commuovevo non potevo fare a meno di pensare all’altro Francesco, Mancinelli, che “Generazione ‘70” oramai non la canta quasi più, credo io per un pudore dovuto a buona razza. Le persone di buona razza sono infatti pudiche e ingenue ed è per questo che esitano a mettere in piazza i sentimenti, per non svilirli, per non svalutarli, per non involgarirli. Eppure “Generazione ‘70” è una delle pochissime canzoni del passato e sul passato che, intrisa d’amarezza, di tristezza e di nostalgia, non è perdente, lagnosa, condita di autocommiserazione ma mantiene intatto il pathos e il vigore pur nella sconfitta e nel silenzio che cela e difende ogni sconfitta di valore.
Io che non sopporto le autocommiserazioni, le lagne, le litanie, adoro invece “Generazione ‘70” e mi piacerebbe che Francesco la cantasse più spesso. Anche perché, chi ha vissuto quegli anni, chi ha conosciuto quei morti, chi ha condiviso quelle emozioni, sa che quel canto è autentico, che parla al cuore, che veicola i sentimenti tali quali sono stati vissuti.
Ce ne sarebbe bisogno in particolare oggi che, ispirati dalla moda delle “fiction” pseudostoriche e incoraggiati dal mercato, si susseguono i ricostruttori di quei tempi, i commemoratori di quei morti. So che piacciono a molti di quelli che non li vissero quegli anni, il che è la riprova che le “fiction” – ché di altro non si tratta – funzionano, soprattutto se verosimili. Solo chi viva realmente le cose sa, però, che il vero non è quasi mai verosimile e che il verosimile non è quasi mai vero. Sicché le riletture, anche quelle benevole, dei nostri sono tutte fasulle. È questo un altro attentato alla memoria e alla grandezza dei nostri Angeli Custodi, perché siccome va di moda ricordarli li si è resuscitati in personaggi che sarebbero impersonati perfettamente da Kim Rossi Stuart o da Alessia Marcuzzi ma che nulla, proprio nulla, hanno dello spirito, dell’anima, del modus vivendi dei nostri Caduti. Quelli che i loro nuovi cantori ci raccontano sono altro, sono larve, ombre in pena che vagano per essere incarnati in un qualcosa di distinto da sé, in individui comuni, banali, e perché no, idioti. E questo misfatto che, voluto o meno, si compie puntuale, non termina qui. Poiché viviamo in epoca di vetrine e di protagonismo, i registi delle “fiction” librarie non si limitano a godere degli strabilianti guadagni che un pubblico ingenuo (forse perché di buona razza) permette loro di maturare sul sangue e sulla memoria dei nostri Angeli Custodi ma, con una presunzione sconfinata, vogliono raccontarceli. E ce li raccontano così come li vedono, così come li possono vedere, come delle proiezioni di se stessi, delle proiezioni borghesi, nevrotiche, schizoidi che, a differenza dei novelli Frankenstein, avrebbero in più solo il coraggio ma che, ovviamente, sarebbe stato più saggio lo avessero messo da parte così sarebbero oggi paciosi eunuchi di buone letture.
Sinceramente ne ho abbastanza di ricostruzioni che altro non sono se non demolizioni, distorsioni, deformazioni, dunque abbassamenti volgari e vigliacchi, che lo comprendano o no i Frankenstein di turno. Come ne ho abbastanza d’imbattermi in qualche nevrotico fallito, che passa il tempo a sputare veleno sul nostro passato, sui nostri Caduti prendendo a prestito calunnie di basso livello che qualcuno che dalla lotta armata fu sconfitto anche intimamente non si stanca di propinare, attento a ricostruire gli eventi secondo i copioni dettati dai suoi giudici comunisti. Questa gente desta solo commiserazione, sono vinti, esattamente come il protagonista di 1984 di Orwell e, esattamente come lui, amano il Grande Fratello e odiano il loro passato che li rese liberi perché non hanno saputo assumere poi sulle spalle il peso della libertà ed anelano solo ad una cosa: a farsi araldi della schiavitù.
Oggi tutti parlano e straparlano: i Frankenstein che fingono di volerci bene ma ci abbassano ai livelli infimi ai quali ci possono comprendere (è la vecchia storia del pollo e dell’aquila di Trilussa…) e gli invidiosi che vorrebbero distruggerci usando le esternazioni dei vinti, di quelli che intendono la vita come un mostrare le loro emorroidi, le loro ulcere, i loro foruncoli. Ne ho abbastanza di queste volgarità da Piccolo Fratello e di quelli con la lacrima facile, di quelli che si commuovono sbucciando cipolle.
Io so come erano i nostri Caduti, io so come sono quelli che sono sopravvissuti e che vivono ancora in cattività. Io so quanto è profonda la loro emozione, la loro commozione. Io conosco le loro lacrime asciutte che però irrorano le praterie in cui crescono i fiori più belli e proibiti. Io conosco il loro silenzio, il loro pudore, la loro grandezza che nessun entomologo/fascistologo ha il diritto di scrutare.
Per questo devo ringraziare Francesco, oggi nel giorno del martirio di Francesco. “Generazione ‘70” fa giustizia di tanti nani rampicanti e gracchianti, ci riconcilia con Quelli che sia pure per leggerezza e magnanimità stiamo però lasciando rimpicciolire. E non dovremmo, proprio non dovremmo, essere complici di un tale misfatto.
I nostri, fraintesi e stravolti, Mancinelli ce li restituisce invece nel loro sentire. Grazie Francesco.
Grazie per continuare ad assumerti l’impegno di impedire questa banalizzazione, questa benevola dissacrazione, questa dissociazione codificata che oggi è travolgente e fa leva sul bisogno di riconoscimento che coloro che non vissero quegli anni vorrebbero assumersi al posto dei protagonisti delle tragedie. Vi capisco ragazzi e soprattutto ragazze che siete spinte da un sentimento materno, ma sappiate che state facendo male ai vostri Angeli Custodi pur pensando di far del bene: le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni.
Non rivendicate la loro “normalizzazione” ma onorate la loro grandezza!
E visto che ci siamo, ricordiamoci tutti che gli Eroi non si piangono, si imitano!