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Scritto da Adriano Scianca (ilprimatonazionale.it)   
Mercoledì 23 Dicembre 2015 17:01

 

 

purché l'abbiate dentro

 

 

 

Ieri mattina, alle 5.48, il sole è passato per la Porta degli Dei ed è iniziato, astronomicamente parlando, l’inverno. Solstitium (da sol, sole, e sistere, stare fermo) è il nome che i Romani diedero a questo magico momento di passaggio in cui l’astro solare sembra fermarsi e invertire il suo cammino. Il buio, che sin qui si è fatto largo e ha guadagnato sempre più spazio, inizia a retrocedere: la luce ha vinto di nuovo. Le implicazioni simboliche e mitiche di questo fenomeno naturale sono sin troppo note per essere qui richiamate.
È semmai interessante soffermarsi sulla particolare risonanza che sembra avere, in questa fase storica, l’idea di rigenerazione che il solstizio porta con sé. Mai come in questa fase storica (e non parliamo solo della “modernità” in senso lato, ma degli ultimi sei o sette anni) l’urgenza di un mito di palingenesi si fa sentire. Più buia è la notte e più si ha bisogno della luce. Ora, l’Europa sta vivendo da molto tempo il proprio solstizio di civiltà, al cui interno queste sembrano davvero le ore più buie. Dal colpo di stato finanziario alla minaccia terroristica, dalla bomba immigratoria ai più inquietanti ninnoli ideologici con cui si vogliono cancellare persino le più evidenti e biologiche delle differenze, quelle tra uomo e donna – tutto contribuisce a chiarire quanto sia profondo l’abisso in cui sta sprofondando la civiltà. Occorre un nuovo sole, quindi. Già, ma dove lo vedremo sorgere? Prendendo spunto dall’attualità internazionale, molti credono di vederlo nelle insegne ora di questo, ora di quello Stato straniero. Ci si dimentica, tuttavia, che proprio la gravità della crisi globale fa sì che ogni Stato sia in primo luogo impegnato a salvare se stesso. Questo vale per la Russia, per l’Iran e anche e soprattutto per la Siria.
Altri credono di scorgere la luce in quanto, nell’oggi, sopravvive dello ieri, foss’anche come abitudine, routine, guscio vuoto. Lo abbiamo detto più volte: è giunto incazzarsi contro le boldrinate folli che ogni tanto fanno capolino nella cronaca, ma l’atteggiamento difensivo, piccolo-borghese e spesso un po’ cialtrone che caratterizza queste battaglie contribuisce largamente a disinnescarle. E comunque, in entrambi i casi, è tutto troppo semplice, perché dà l’idea che il Graal sia qui, che la luce sia facilmente attingibile: basta attendere il settimo cavalleggeri dei cosacchi o costruire le barricate attorno ai presepi. E invece non è così.
L’unica luce che ci salverà, viene da dentro. Non è una parabola zen da operetta. L’insegnamento cardine di Julius Evola e che in età oscura, quando la luce della solarità primordiale si è dissolta, l’unica speranza viene riposta nell’alternativa eroica. Non si tratta, ovviamente, di essere “eroi” facendo delle macchiette dannunziane fuori tempo massimo, ma di predisporsi eroicamente in senso esistenziale. Il che significa: essere, incarnare, proporre l’altro rispetto al modello suicida dominante. Riscoprire il senso della radicalità di ogni cosa. Combattere, laddove per tutti gli altri, anche per tanti “amici” e compagni di strada, si tratta per lo più di apparire, esternare, quando non fare calcoli elettorali e svendite in grande stile. A differenza di quanto accade astronomicamente, il sole non tornerà a brillare sulla nostra civiltà per una fatalità ciclica. Allo stato attuale delle cose, la fine della storia è effettivamente possibile e la scomparsa definitiva della civiltà europea pure. Stavolta, il buio può vincere. Per evitare che questo accada, non servono illusioni o scorciatoie. Nessuno verrà a salvarci, quindi dovremo farlo noi. È difficile, ma è l’unica speranza che abbiamo.