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30/12/2015 | Emma Moriconi (ilgiornaleditalia.org)

 

 

 

Quel "crimine" germanico di cento anni fa

 

 

 

 

 

 

È il 30 di dicembre del 1915. Sui fronti la guerra continua, nessuna tregua per questo Natale. È una data che segna una delle tante tragedie del conflitto: il transatlantico americano Persia, della Peninsular and Oriental Steamship Company, viene silurato senza preavviso. Muoiono trecentotrentaquattro passeggeri tra cui un console americano, donne e bambini. La Marina germanica aveva messo a punto alcuni mezzi di distruzione, mine anche magnetiche e sommergibili, uno dei quali partì dalla base di Pola e raggiunse il Mediterraneo orientale. Pola all’epoca era alleata dell’Austria. Fu questo sommergibile ad affondare il transatlantico Persia: ne parla Folco Quilici in Relitti e tesori: “Dei primi momenti di quel naufragio - scrive - si legge in una lettera di uno dei pochi superstiti, John Miller-Hallet, tenente in seconda del piroscafo, imbarcatosi il 18 dicembre 1915 a Londra. Sulla nave, proprio mentre la prima classe concludeva il pranzo, ‘risuonò un colpo violento, il fragore di vetri che cadevano. Un tremito percorse i ponti. Tutti corsero alle cinture di salvataggio...’  scrisse poi alla moglie, aggiungendo con freddezza britannica: ‘Avevo appena finito due ottime acciughe con pane ancora caldo’. L’U-38 della Marina tedesca, a settantuno miglia a sudest di Capo Martello, a Creta, colpito il bersaglio con precisione, assisteva all’affondamento, tanto veloce da far notare il transatlantico ancora in movimento quando le ciminiere già toccavano le onde. A osservare quella drammatica scena, il comandante del sommergibile. A fine guerra accusato di violazione della legge navale internazionale: l’obbligo del preavviso con un colpo a salve per navi passeggeri intercettate. Al processo fu però assolto perché risultò a bordo del Persia anche un carico di truppe e munizioni”. A bordo del Persia c’era anche molto oro, il che provocò numerose e affannose ricerche: vennero monitorati circa ottomila km quadrati in una zona dove - dice ancora Quilici - “il fondale marino si distende a profondità tra i duemilacinquecento e i quattromilacinquecento metri”. Il relitto venne trovato e esaminato con le telecamere, il racconto di Quilici è estremamente appassionante. Qui basterà ricordare come vennero riportati in superficie molti oggetti: “posta con auguri di Natale e pacchi di doni come calze di seta, pantofole ricamate, champagne Veuve Clicquot, cravatte, pennelli da barba, pipe nuove, agende per il 1916, scarpette da neonato, giornali e riviste; il tutto sopravvissuto all’acqua perché raccolto in pacchi strettamente legati. Iniziarono poi a rotolare sul ponte cassette blindate con gemme, ametiste e una collezione di rubini. Nessuna traccia, però, del carico di monete d’oro e d’argento, scopo dell’operazione. Per chissà quali ragioni il tesoro era stato stivato altrove”.
Intanto sui fronti di guerra si continua a combattere. Fa freddo, e le trincee sono bagnate, fangose, gelide. Per i soldati è un martirio perché a novembre è piovuto per tutto il mese: “I nostri uomini non erano mai all’asciutto, né in trincea né nei rifugi. Dormivano nelle divise fradice, con gli stivali pieni d’acqua, bevevano tè e pioggia, mangiavano rancio e fango…”, scrive Philip Gibbs. “Gli uomini che stavano nel fango per giorni e notti, calzando stivali da campo o fasce, persero qualsiasi sensibilità alle estremità. I loro piedi, così freddi e bagnati, cominciarono a gonfiarsi, a diventare come morti, poi all’improvviso a bruciare come se fossero stati sfiorati da un ferro rovente. Quando arrivava il cambio, decine e decine di uomini non erano più in grado di camminare ed erano costretti a procedere carponi, o dovevano essere trasportati a spalla dai compagni. Ridotti in queste condizioni ne ho visti centinaia e, a mano a mano che procedeva l’inverno, migliaia”. E così scriveva il 26 dicembre 1915 la Domenica del Corriere: “Bisognerebbe non conoscere la serenità dei nostri combattenti, per immaginare per essi un Natale triste, senza un sorriso, senza una voce di gioia, nelle baracche quasi sepolte nella neve, nelle ridotte, nelle trincee. Mancheranno i comodi e il lusso, ma non le vivande tradizionali del Natale, ma non le buone bottiglie. Tutta l’Italia con generoso cuore, ha inviato doni ai combattenti: a migliaia e migliaia i pacchi hanno compiuto la corsa verso i luoghi della nostra guerra. Ai brindisi che in ogni casa italiana si faranno per la fortuna delle nostre armi, per la salute dei combattenti, risponderanno nell’istessa ora, da tutti i luoghi della nostra guerra, i brindisi dei nostri eroici soldati, che inneggiano alla Patria, al Re, alle famiglie lontane”.
Era, per i nostri soldati, il primo Natale al fronte.