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18/01/2016 | lastampa.it

 


 

 

“Come si fa a non esser pronti a morire per un Paese che fa questo per i suoi cittadini?”

 

 

 

C’è una piccola stazione dei treni abbandonata tra le nevi dell’isola di Hokkaido in Giappone, all’ombra del monte Takayama. Nella sala d’attesa, qualche manga rabberciato, un post-it con un telefono per le emergenze e un vento gelido. Sembra più che altro una vecchia baracchetta di legno, dalle foto che ha pubblicato l’Asahi Shimbun. In una di esse, si scorge una ragazza che aspetta tutta sola l’arrivo del treno tra i fiocchi di neve sull’unico, esile binario. Ha una sciarpa rossa, un grosso zaino, un cappotto scuro e una lunga frangia che le nasconde il viso. 
Il treno che sta per arrivare si ferma in questa piccola stazione per appena 20 secondi ogni mattina alle 7:15, per portare la studentessa diciassettenne Kana Harada al Liceo Enguru. E nel pomeriggio, per riportarla a casa.
La società dei treni dell’isola avrebbe dovuto abolire da tempo questa stazione con le finestre di linoleum slabbrate e quell’antica lavagnetta incrostata che indica gli orari, dove ormai non sale più nessuno tranne Kana Harada. Infatti la Japan Railways Hokkaido ha deciso l’estate scorsa di chiudere tre stazioni di quella linea, ma non prima del 26 marzo di quest’anno, proprio quando la liceale, l’unica passeggera regolare della stazione Kyu-shirataki, si sarà diplomata, assieme ai suoi compagni di scuola e di viaggio, che salgono alle altre fermate di questo trenino divenuto quasi uno scuola-bus sui binari.
Il romanticismo nipponico, di fronte alla notizia che la JR Hokkaido tiene aperta la piccola stazione di Kyu-Shirataki per consentire a un’unica studentessa di andare a scuola, è esploso d’entusiasmo. “Come si fa a non esser pronti a morire per un Paese che fa questo per i suoi cittadini?” ha sbottato un patriota con un trasporto sentimentale per noi difficile da comprendere, ma che in un certo contesto giapponese, di chi crede nel sacrificio estremo per la comunità e per la patria, è molto chiaro.
C’è poi chi si è immaginato un racconto alla Banana Yoshimoto o alla Haruki Murakami, con un ragazzo che s’innamora della liceale sul treno, non le parla, la guarda di lontano, sogna di riuscire ad avvicinarla prima o poi. Ma un giorno lei non salirà più. Scomparsa la ragazza dalla sciarpa rossa e anche la sua fermata. Volano paragoni con un’atmosfera da cartone animato di Miyazaki, con castelli erranti, fantasmi eterei, grandi treni misteriosi nella neve che scende solitaria e malinconica su un cigolio lento per una fermata speciale.
Le chiusure di queste stazioni nelle zone più rurali raccontano una trasformazione che è anche il risultato di una crisi e del calo demografico di una nazione che sta toccando il record della decrescita, assieme al record nel numero di anziani. 
E c’è chi si scatena, più prosaicamente, in complesse analisi sui costi economici di una fermata di un treno per un’unica passeggera. “Perché non affittarle un’auto, invece di spendere tutto quel denaro!” grida uno dei tanti lapidatori telematici nei thread, sgolandosi in stile “con i nostri soldi!” 
Ma non si tratta di un treno che fa un intero viaggio tutto per lei. Effettua solo, e ancora per poco, quello stop in più, dove ormai c’è solo quell’unica passeggera ad aspettare. Frenata, 20 secondi, accelerata. Che vuoi che sia? Lasciateci credere in questa fiaba.
La notizia rimbalza dalla Polonia all’Australia, dal Vietnam alla Francia, con i soliti plausi, commozioni e battibecchi. Perché tanti si commuovono nel vedere un Giappone, dove fino a 10 anni fa un capostazione era capace di suicidarsi solo perché i suoi treni arrivavano in ritardo, in cui una fiaba come questa è possibile. Dove lo Stato, perché quella linea dei treni è ancora statale, è così attento ai suoi singoli cittadini da poter fare un piccolo sforzo in più, pure quando è economicamente poco conveniente. Treni che si fermano nel Galles o in Ucraina solo se agiti in aria il braccio ce ne sono, ma questa storia, nel contesto della precisione e del senso di comunità giapponesi, ha risvegliato sentimenti diversi. Qui si tratta della documentazione di un mondo che scompare, intriso, prima ancora che finisca, di una certa nostalgia.
C’è poco da fare, il desiderio e il bisogno di una fiaba che regali un po’ di ottimismo è troppo forte. Lasciateci sognare che sia così, ancora per poco. Che valga davvero la pena che quella locomotiva fumante, nel freddo delle nevi di Hokkaido, si fermi la mattina presto e al pomeriggio, per far salire o scendere quella ragazza che aspetta sul binario vicino a casa sua. Come in un film animato di Miyazaki o in un racconto di Murakami o in una favola di Banana Yoshimoto.