07/02/2016 | ilgiornale.it
Schifosi vigliacchi questi europei che hanno paura di ogni cosa e sono proni nei confronti di tutti gli altri
E, mi raccomando, ritrovate fermezza soltanto nei dibattiti sull'uso delle chiappe, vermi!
La Svezia calpesta la memoria di Alexandra Mezher, la volotaria 22enne brutalmente ammazzata da un profugo appena quindicenne all'interno del centro di prima accoglienza di Mölndal, paesino in provincia di Goteborg.
Le autorità locali hanno, infatti, vietato ai colleghi e agli amici della giovane di commemorarla. Il motivo? "La cerimonia - hanno spiegato - potrebbe offendere gli immigrati".
Nessuna commemorazione pubblica. Solo la Santa Messa. E il ricordo di Alexandra se ne andrà così, nell'indifferenza politicamente corretta di una Svezia che si rifiuta di denunciare i crimini degli immigrati. Perché la giovane di origine libanese, che lavorava proprio nel centro di prima accoglienza di Mölndal, è stata ammazzata da un quindicenne somalo. Uno dei tanti profughi accolti dalla Svezia buonista l'ha presa a coltellate finché la ragazza non aveva più vita in corpo. I motivi che l'hanno spinto a un gesto tanto brutale sono tutt'ora ignoti dal momento che le indagini vengono svolte sotto la massima copertura per "evitare di influenza il giudizio dell'opinione pubblica" nei confronti degli immigrati. Un'assurdità che fa il paio soltanto con la decisione delle autorità locali di vietare la commemorazione della ragazza assassinata.
A Örnsköldsvik erano state presentate le dovute richieste per organizzare una commemorazione pubblica in ricordo di Alexadra. Ma, dal momento che nella città sorge un altro centro di prima accoglienza, le autorità locali si sono rifiutate di concedere i permessi perché la cerimonia era "potenzialmente offensiva nei confronti dei migranti". Colleghi e amici si sono allora rivolti ai vertici del centro di prima accoglienza di Mölndal chiedendo di poter realizzare una sorta di "altare" per ricordare Alexadra all'interno del campo profughi. Ma per lo stesso motivo hanno dovuto subire un altro diniego.