09/02/2016 | Alessandro Giuli (Il Foglio)
L’arte di cambiare forma, identità e stati d’animo è il privilegio del divino Vertumno. L’uomo comune si accontenti del carnevale
DII BENE VORTANT!
A Carnevale, ogni Vertumno vale. Ma chi è Vertumno... e che cosa c’entra questo dio con i riti di travestimento e purificazione scenica caratteristici di febbraio? Premesso che per Vertumnus è sempre Carnevale, perché nella sua natura profonda risiede la causa d’ogni vertere, d’ogni trasfigurazione o travestimento, finalmente uno studioso contemporaneo s’avvicina al cuore della risposta. Stiamo parlando di Maurizio Bettini, uno dei filologi e saggisti più accreditati e prolifici del momento. Ha appena pubblicato con Einaudi un libro intitolato “Il dio elegante - Vertumno e la religione romana” (222 pagine, 24 €). È una ricerca sofisticatissima, la sua, intorno alla più misteriosa e sfuggente divinità fra quelle conosciute, situata quasi al limite oltre il quale troneggiano i così detti dèi velati della tradizione etrusca (Vertumnus è deus Etruriae princeps). Il Vertumnus romano deriverebbe dal tirreno Velthe, o Veltune, sposo di Voltumna o Urcla, la dea titolare del Fanum Voltumnae, santuario nazionale ubicato a Bolsena (o forse a Orvieto, che però di questo centro federale sarebbe stato più che altro l’avamposto militare. Bettini lascia nell’indistinto la questione ancora dibattuta dagli etruscologi. Vedi Giovanni Feo, “Il tempio perduto degli Etruschi”, Effigi, Grosseto 2014).
Il lavoro di Bettini è un’inchiesta serrata sul “carattere vertumnico”, sulle qualità fondanti di un dio antichissimo raccontato in forma rapsodica dalla letteratura e dall’epigrafia latina, un nume dai troppi volti per essere ricondotto a un ritratto uniforme come quello tutto frutta-e-ortaggi dipinto nel 1591 da Giuseppe Arcimboldo.