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E chi se ne frega !
Hanno liberato la signorina Sgrena: e allora ? Pensiamo piuttosto ai risvolti dell’operazione e alle distorsioni dell’opinione pubblica manipolata da neocons e pacifinti.
Gabriele Adinolfi
La liberazione rocambolesca della signorina Sgrena c’induce a più di una riflessione.
Primo: la signorina, così come quasi tutti gli altri giornalisti rapiti, così come la gran parte dei lavoratori catturati e spesso giustiziati dalla fantomatica resistenza irachena, a questa non era, almeno apparentemente, ostile. Dal che vien da chiedersi: se i rapitori non sono complici degli occupanti o addirittura loro burattini, perché allora sono così imbecilli da colpire chi, almeno in teoria, dovrebbe essere in grado di veicolare messaggi non troppo sfavorevoli ?
Secondo: il convoglio sul quale viaggiava la signorina liberata è stato accolto dal “fuoco amico” americano. Un errore, che, se tale, la direbbe lunga sul comportamento disinvolto e criminale delle truppe d’occupazione ? O si tratta piuttosto di un modo sistematico di fare, di un atto ostile, di una prevaricazione ? Di un avvertimento: non immischiatevi autonomamente negli affari della resistenza (?) irachena ? Già lo scorso agosto il convoglio che doveva effettuare la liberazione di due giornalisti francesi – e che aveva a bordo un diplomatico transalpino – fu fatto oggetto dal fuoco yankee. Venerdì, Calipari, l’agente del Sismi che ha liberato la Sgrena è morto sotto il fuoco americano: è un caso fortuito come ce lo raccontano ? O forse l’agente italiano durante le trattative era venuto a conoscenza di qualcosa che avrebbe dovuto ignorare ? E come non ripensare allora agli otto agenti spagnoli uccisi per errore, in diverse circostanze, sempre in Iraq dall’inizio dell’occupazione ad oggi ?
Terzo: e qui l’Iraq non c’entra ma c’entriamo noi come italiani. Per la signorina Sgrena si è mobilitata massiccia, a più riprese, l’opinione pubblica, mossa da media, partiti e sindacati.
Non ci fu la medesima intensità popolare quando si trattò di Enzo Baldoni, anch’egli giornalista, pacifista, di sinistra, catturato e poi ammazzato sei mesi fa. Perché questa disparità di trattamento ? Forse perché la signorina Sgrena appartiene ad un’aristocrazia di partito, visto che il padre fu partigiano rosso in val d’Ossola e che lei stessa ha un curriculum vitae doc nelle oligarchie della borghesia progressista, marxiana e mondialista ? Ché, nei fatti, il comunismo –dal 1917 ad oggi – questo è: un fenomeno reazionario, oligarchico e moralista che vive di privilegi e di classi.
Quarto: ed è l’approfondimento del ragionamento precedente. A causa del ritorno d’interesse mediatico sulla strage di Primavalle ci sono venuti a raccontare ultimamente che “allora erano presi da pregiudizio”, che “erano obnubilati”, che “sbaglia chi pensa che essi sono così insensibili, cinici, che fanno distinzione sul valore delle vite umane”. Ebbene, visto e considerato che le commedie e le farse in piazza sono determinate quasi per completo da quegli stessi censori e maestri del salottobene-di-marxista-ispirazione-e-disicura-liberazione-progressiva, come non ripensare al silenzio, all’ostile imbarazzo con il quale i soliti maestri di vita altrui accompagnarono il rapimento e l’esecuzione di Fabrizio Quattrocchi ? Il quale, pur considerando tutta una serie di differenze oggettive e previe, fece e ci fece fare a tutti una figura molto degna, una gran figura che rende ancor più squallido il pianto scomposto della Sgrena. Tuttavia Quattrocchi doveva essere esorcizzato, cancellato dalla memoria perché aveva scelto il campo sbagliato. Fermo restando che quel campo è sbagliato, nessuno si è ancor chiesto se, in Italia, qualcheduno abbia fatto una scelta giusta: se se lo chiedesse resterebbe esterrefatto perché si accorgerebbe di no. E, comunque, il campo scelto c’entra poco perché delle due l’una: o le vite valgono tutte parimenti – come i manipolatori delle nostre coscienze collettive cercano di farci credere che sia per loro - o valgono invece per quel che le persone sono e per come si comportano, in particolare di fronte alla morte, qualunque sia la strada percorsa fino all’ultima prova. Che in Italia quindi ci si commuova per la disgraziata e fortunata signorina Sgrena e si dimentichi presto la dignità di Quattrocchi la dice davvero lunga.
Noreporter febbraio 2005
Intervista di noreporter a Gabriele Adinolfi su politica, elezioni e strategia
Il dibattito aperto a Milano da Lino Guaglianone al quale hai partecipato con Maurizio Murelli ?
“Un caso del genere – l’avanguardia radicale che impone il confronto alla destra istituzionale - non aveva luogo dal 1972, dai tempi in cui era vivo Adriano Romualdi, l’ultimo (neo)fascista con uno spessore strategico. Un evento importante. Tranne per le verginelle dai candidi manti "quelle aperte di dietro ma chiuse davanti".
Che, evidentemente, son troppo soggette a tentazione per resistere alla prova e, dunque, non possono che mettere in dubbio la virtù altrui. Di solito è sempre così: i vili, ad esempio, negano l’esistenza stessa del coraggio”
Il sostegno ad Alternativa Sociale ?
“Mi pare scontato che un’avanzata di quella formazione, seppur eterogenea, sarà positiva. In particolare un consolidamento di Roberto Fiore.”
Il non voto ?
“Non credo nel voto, almeno non in termini di professione di fede; posso credere che sia utile in dati contesti, mai che sia sacro. Chi preferisce non votare ha di certo i suoi buoni motivi”
Questo ed altro, ogni tipo di attitudine emerge dalle ”formazioni non conformi” e Gabriele Adinolfi le sostiene tutte, indistintamente.
Non ti sembra un po’ schizofrenia e molto equilibrismo ?
“Schizofrenia me l’auguro, equilibrismo no, semmai equilibrio. Ma lo definirei, piuttosto, realismo. In questo ghetto autorecluso, ogni presa di posizione avviene per urla, insulti ed isterie in nome di una verità assoluta e di un momento decisivo, di una catastrofe imminente, di un rivolgimento dietro l’angolo.
Nulla di tutto ciò si verifica dopo la mobilitazione sicché le nostre baccanti cambiano di continuo scenario e veste, senza mai abbassare però la voce, forse perché hanno solo quella. Il comportamento effettivo dei mille e mille censori poi si rivela così diverso da quanto affermano... Basti pensare ai continui rovesciamenti di alleanze che avviene in questa nicchia dello spettacolo della politica.
Gente che si odia, si detesta, si giura guerra e si abbraccia all’improvviso, per poi litigare di nuovo e tornare a braccetto. Tutto questo non m’interessa.
Personalmente sono per una strategia (cosa nuova lo so) e non per un atteggiamento. Questa mia – per usare termini codificati che io però preferirei definire altrimenti - è un misto di trozkismo, gramscismo e situazionismo e, soprattutto, non è leninismo. Normale che chi la vede diversamente (gesto estetico, desiderio di fagocitazione, imitazione del leninismo) urli e cerchi ora qui ora lì la prova di qualche incongruenza se non addirittura di cedimenti.
Ed è notorio che costui può parlare dall’alto di una purezza immacolata, a differenza di carrieristi notori quali Maurizio Murelli, Rainaldo Graziani e il sottoscritto.”
Dunque rivendichi le contraddizioni e l’irritualità ?
“Questa strategia comporta soprattutto la trasversalità, il portare ovunque il confronto e l'azione per modificare gli equilibri. Personalmente non ho paura di confrontarmi con chicchessia né di agire in modo apparentemente schizoide se fa parte di una linea che non verte a promuovere me stesso o i miei più vicini ma a modificare dei rapporti di forza e ad aprire dei varchi un po' ovunque, da colmare con le provocazioni situazioniste e con la rivoluzione culturale. È un tutt'uno, non una commedia.”
Tutto questo non può comportare problemi nel bimestre che ci separa dal voto ?
“È possibile, ma chi ha scelto, forse pretenziosamente, un ruolo d’avanguardia, deve anticipare la politica di almeno un tempo. Non mi occupo tanto delle elezioni del 2005 (in cui, peraltro, la nostra capacità di mobilitazione collettiva è molto ma molto scarsa) quanto di prevederne gli esiti e di iniziare a preparare il terreno per quanto avverrà dopo.
Mantenendo e consolidando quel ruolo di crocevia che abbiamo faticosamente conquistato e che sarà utile a tutti. A tutti quelli di buona tempra intendo”.
Ma credi che questa strategia sia comprensibile ?
“Limitatamente. In parecchi del resto ci affibbiano etichette a volontà: dal non voto alla fiamma, a forza nuova ad an. Si può comprendere: star dietro all’elasticità non è facile, non a caso quest’area è definita ghetto. La questione non è però tanto lo stabilire in quanti sono in condizioni di comprendere il nostro operato. Importante è l’operato stesso, con tutti i suoi frutti sostanziali.
Frutti che in molti stanno godendo sia dal punto di vista delle innovazioni, che da quello delle realizzazioni (dalle occupazioni alle cooperative) che da quello delle maturazioni mentali che io sinceramente intravedo e di cui penso di essere stato co/artefice.
In particolare proprio con questa strategia che non ha come fine le elezioni, l’acquisizione dei rimborsi-spese o la crescita di una formazione singola e uniformante che proceda come uno schiacciasassi.
Non credo nell’azione ora per cambiare il mondo poi, credo nell’azione che ogni giorno modifica la realtà. E per il momento non mi lamento, benché io sia molto esigente e di difficile soddisfacimento”.
Noreporter Febbraio 2005
Il 7 dicembre 1941 il Giappone, costretto alla guerra dal ricatto americano, si lanciava all’attacco bombardando dal cielo la base navale di Pearl Harbour. Per la coraggiosa nazione nipponica, strangolata dalla piovra statunitense, iniziava la lotta per la vita: uno scontro mortale che avrebbe contrapposto due visioni del mondo assolutamente diverse e inconciliabili. L’una, quella americana, fondata sull’usura, sul bluff, sul cinismo e sul gangsterismo, rappresentava, nel peggior modo possibile, l’archetipo del mercante. L’altra, forgiata come le sue Katana sull’onore e sulla fedeltà, sul coraggio e sul sacrificio era la più sublime espressione dell’archetipo del guerriero: il Samurai.
Lo scontro fu impari né l’Impero del Sole mai aveva supposto altrimenti. Di fronte ad un popolo in armi, a guerrieri decisi che avrebbero conteso ogni metro di terra all’invasore usuraio facendolo tremare e rendendolo letteralmente pazzo, la cieca, informe e difforme rabbia dell’omuncolo d’affari indusse quest’ultimo ad utilizzare l’atomica contro le città di Hiroshima e Nagasaki suggellando, con quell’atto d’infamia, di viltà e di sordida ferocia, l’inferiorità ontologica prima che culturale del modello vincente, quello stesso che ai nostri giorni ha ridisegnato l’intera mappa mondiale sulla base dell’economia del Crimine Organizzato.
In quest’anniversario nel quale non si può non festeggiare la grandezza giapponese non possiamo neppur dimenticare che, ben dopo l’olocausto atomico consumato in Giappone, gli americani incontrarono più volte soldati nipponici come Onoda che erano sopravvissuti per venti o trent’anni in atolli sperduti del pacifico dove ancora tenevano le posizioni e da dove accolsero i marines sparando loro addosso.
Nel nome e nel segno dei kami kazé: il vento divino che sospinge, nel sacrificio supremo e gioioso, i fiori di ciliegio.
Banzai !
Noreporter Dicembre 2004
Tutto può ancora succedere; tuttavia la riconferma di Bush sembra scontata. Una vittoria striminzita per l’inquilino della Casa Bianca (249 grandi elettori contro 242) ma più consistente di quella che aveva ottenuto quattro anni fa contro Al Gore.
Lo scontro fra le due nullità che si contendevano il titolo di primo amministratore della macchina imperialistica al servizio del capitalismo cannibale - altra dicitura di quel Crimine Organizzato che domina il mondo dal 1945 - sembra essersi conclusa con la vittoria di colui che aveva dalla propria l’apparato di potere. I democratici hanno immediatamente attaccato l’Amministrazione accusandola di brogli, particolarmente in Ohio dove la vittoria del presidente uscente non sembra chiara.
Kerry aveva tutte le carte in regola, nella società dello spettacolo, per sostituire Bush: dalla sigla JFK che richiama in modo subliminale al mitizzato Kennedy, all’appoggio della totale congerie degli uomini dello spettacolo. Persino alcuni dei falchi di Bush, ad esempio Perle, avevano dato segni di aperture sospette verso i potenziali nuovi occupanti della Casa Bianca.
Intendiamoci, se avesse vinto Kerry, le cose non sarebbero migliorate ma, probabilmente, peggiorate.
La politica dello sfidante democratico non si discostava da quella del presidente in carica se non per delle sfumature, o meglio per delle verniciature.
Gli Usa non possono fare altra politica da quella che conducono oggi: una politica di sopravvivenza e di egemonia; l’una e l’altra vanno di pari passo per quel colosso di argilla che vive del lavoro del sud, del danaro degli altri paesi del nord, della sua potenza militare al servizio di una cupola mafiosa che coordina un perfezionato sistema criminale, articolato e concentrico.
Succubo dell’arroganza dei neocons, Bush non ha fatto altro che esacerbare le contraddizioni, fino a spingere gli uni nelle braccia degli altri importanti paesi subalterni che stava rapinando (Francia, Germania) e potenze che sta minacciando (Russia, Cina), incrinando persino, sia pure in minima parte, quell’alleanza oggettiva che lega gli Usa all’Iran da mezzo secolo e che non si è infranta con la caduta dello Scià ma ha soltanto trovato un intermediario particolare: Israele.
Kerry, se una volta eletto avesse fatto la politica promessa, nei prossimi mesi avrebbe smussato qualche angolo, ridotto le frizioni nel nord del pianeta, e ci avrebbe coinvolti tutti, via Onu, a partecipare più attivamente al disastro ecologico e umano che si perpetra sotto la bandiera stelle e strisce.
Tutto sommato dovremmo essere più soddisfatti che continui Bush, allora. Sempre che continui. Perché, come insegna l’esperienza, i presidenti una volta eletti spesso cambiano politica. Che Bush faccia esattamente quello che sbandierava Kerry non è dunque affatto escluso.
In ogni caso, con la vittoria di zero su zero, l’essenziale permane. Buon incubo, abitanti del mondo !
Noreporter Novembre 2004
Il 3 settembre di sessantacinque anni fa la Francia e l’Inghilterra dichiaravano l’avvio della Seconda Guerra Mondiale. Il pretesto: l’entrata delle truppe germaniche nei territori tedeschi che erano occupati dai polacchi per metter freno, dopo diversi ultimatum inascoltati, all’eccidio dei civili.
In teoria Francia e Inghilterra volevano garantire l’integrità territoriale dell’alleato polacco.
Teoria pura: il 17 dello stesso mese l’armata sovietica occupava oltre metà Polonia ma nessuno si sognava di dichiararle guerra.
Anzi, di lì a poco gli “alleati” avrebbero iniziato ad armarla mentre le banche americane avevano iniziato già dal ’19 ed avrebbero proseguito fino al termine degli anni ottanta a mantenerla economicamente in vita.
Le ragioni della guerra furono tre: la geopolitica, l’economia e l’odio.
Un odio antitedesco, anticlassico ed antieuropeo.
Geopoliticamente la ripresa di potenza della Germania metteva in discussione il monopolio mondiale britannico che gli inglesi volevano salvaguardare e al quale gli americani intendevano sostituirsi.
Economicamente l’avvento di vaste aree autarchiche, ricche di ogni risorsa economica ed energetica, ed il ridimensionamento delle banche (in Germania venivano soppiantate dalle Casse di Risparmio, una parola maledetta da tutti gli usurai) rischiavano di far saltare un’egemonia planetaria cui i banchieri e la mafia non volevano assolutamente rinunciare.
Sin dal 3 settembre l’intenzione tedesca di risolvere pacificamente la controversia fu manifesta. Le lobbies angloamericane tuttavia vollero che la guerra fosse lunga, sanguinosa e devastante: il genocidio europeo era nei loro piani.
Anche i più atroci esperimenti - bombardamenti al fosforo, al napalm (il primo della storia si ebbe nell’agosto del ’44 contro gli italiani al largo di Saint Malo), nucleari, vennero tutti compiuti platealmente da una sola parte.
Il Crimine Organizzato, la cui cupola dominava già gli Stati Uniti, avanzava impietosamente ed inesorabilmente. La grande piovra, dietro la copertura fatua di una presunta democrazia a pretesa globale, avrebbe conquistato, spogliato, devastato, il pianeta, i popoli, l’ambiente.
I “liberatori” avrebbero imposto il loro modello che si fonda etologicamente sull’ipnotismo mediatico, sul servilismo diffuso e sostanzialmente su tutti i traffici illeciti, i due principali (insieme al mercato d’armi) essendo quelli della droga e degli schiavi.
Per farla breve, il 3 settembre 1939, il Crimine Organizzato dichiarava guerra alla libertà, alla civiltà, all’autodeterminazione, alla dignità dell’uomo e all’identità dei popoli.
La sua opera prosegue oggi imperterrita.
Noreporter Settembre 2004
Il 6 agosto 1945 la seconda guerra mondiale volgeva al termine.
L’Italia soverchiata malgrado l’eroica resistenza di oltre ottocentomila volontari che avevano reagito al “tradimento” per antonomasia, la Germania invasa, martoriata, soggetta a genocidio, non combattevano più.
In armi rimaneva solo l’eroico Giappone, fermo nei suoi principi di onore, nella guida esistenziale fornita dal plurisecolare Bushido.
La grande potenza progressista e democratica, gli Stati Uniti d’America, decise allora di “abbreviare le sofferenze abbreviando la guerra” mediante una duplice catastrofe atomica.
Concepita e realizzata dai fisici di Los Alamos del Manatthan Project, la bomba atomica, quell’ordigno che Hitler si era rifiutato di confezionare, fu così sperimentata sulla popolazione civile di Hiroshima.
Quei civili conobbero sulla propria pelle quell’ armageddon che tanto si confà allo stile ed alla concezione degli americani.
Si trattava di una bomba all'uranio, chiamata " Little Boy", e fu sganciata dal B12 "Enola Gay", pilotato dal comandante Paul Tibbets.
Due giorni dopo fu sganciata su Nagasaki la seconda bomba, questa al plutonio, chiamata "Fat Man".
Duecentocinquantamila vittime, quasi tutte tra atroci sofferenze, molte in lunghe agonie, trasformate in veri e propri mutanti.
Gli Stati Uniti – tuttora l’unica nazione al mondo ad aver usato la bomba atomica contro un altro popolo – mostravano così al mondo il loro volto.
Cosa ci si poteva attendere, del resto, da una nazione fondata sul fanatismo di sette millenariste che si era stabilita in un continente vergine sterminando i pellirosse (un olocausto assoluto e pienamente realizzato) senza disdegnare di provocare a tale scopo epidemie di colera con la fornitura di coperte infette ?
Da una nazione che aveva costituito la sua ossatura economica sul rapimento degli africani, sull’istituzione della schiavitù e, peggio ancora, sulla successiva trasformazione della schiavitù nel più assoluto sfruttamento delle insalubri fabbriche del nord ?
Cosa ci si poteva attendere da una nazione che – avendo deliberato mediante uno speciale “patto con Dio” – che l’intero continente le apparteneva, si era messa a tagliare le braccia ai maschi delle popolazioni occupate per tema che un giorno potessero imbracciare il fucile ?
Cosa era lecito attendersi da una nazione che aveva appena sperimentato quel napalm col quale avrebbe poi commesso tanti crimini contro l’umanità in Vietnam ?
Perché il napalm fu usato, per la prima volta, nell’agosto del 1944 contro le truppe italiane che resistevano a largo di Saint Malo. Ma di questo, ovviamente, non se ne parla.
Una classe dirigente di vigliacchi e opportunisti non può lasciar passare simili esempi che la inchiodano nel disonore.
Il 6 agosto del 1945 rappresenta un simbolo epocale: lo Stato/Canaglia imponeva il suo dominio mondiale tramite un rito dai sapori satanici che instaurava l’era dello Spettacolo del Terrore ad opera dei terroristi internazionali.
Accadeva in agosto. Negli anni successivi quel mese sarebbe stato spesso un mese di stragi ad opera degli emuli degli americani. Gli emuli ?
Il 4 agosto 1974, in una galleria tra Firenze e Bologna, un ordigno esplodeva facendo scempio di una dozzina di passeggeri. Il treno delle vacanze si trasformava in un inferno.
Perché avveniva tutto questo ? Quale sinistra e cinica mente poteva averlo ideato ?
Andiamo con ordine.
Nel 1973 la Commissione Trilateral (tra i cui ideologi c’era Gorge Ball, uno di quelli che avevano deciso il bombardamento al fosforo su Dresda) aveva varato una nuova strategia internazionale, di collaborazione tra intelligentsia finanziaria e nomenklature comuniste. Durante l’estate, come per incanto, il maggior numero delle testate italiane cambiavano di proprietà e, insidiosamente, spostavano l’opinione pubblica “moderata” a considerare il Pci con occhio più benevolo.
In ottobre la “guerra del kippur” faceva levitare il prezzo del petrolio e dei petroderivati, tanto che il Pci si trovava con i conti in rosso, specie nella voce “stampa”.
Nella primavera del ’74 si svolgeva il referendum sul divorzio. Solo il Msi del divorziato Almirante si batteva contro il divorzio insieme ad una Dc assai molle che affidava quella battaglia all’uomo delle liquidazioni, Amintore Fanfani, mentre tutti i big si defilavano avendo già chiari i risultati della competizione elettorale e preparandosi per il dopo.
Il fronte “progressista” era capeggiato dal Pci ma faceva il suo clamoroso ingresso sulla scena italiana l’uomo delle massonerie e di Israele, Pannella.
A sinistra in molti premevano per una scelta insurrezionale o rivoluzionaria ed il partito di Berlinguer, preso tra due fuochi, continuava a mostrarsi ambiguo benché anelasse chiaramente ad una svolta socialdemocratica.
I registi della strategia della tensione compirono allora diverse mosse. Innanzitutto costituirono delle bande paramilitari anticomuniste, i Mar, affidate a vecchi partigiani. Poi commisero la strage di Brescia (maggio) e prepararono il terreno per le trattative decisive.
Un incontro tra Giulio Andreotti, Gianni Agnelli ed Enrico Berlinguer in estate portava ai seguenti risultati. Il patronato s’impegnava a sanare i deficit dei comunisti e questi ultimi lanciavano la linea del “compromesso storico”.
Le conseguenze che tanto sapevano di compensazioni furono quattro. Lo scioglimento dei Mar, lo scompaginamento (seguito dall’incriminazione) dello stato maggiore democratico anticomunista (Gui, Tanassi, Rumor, Leone), la repressione dei neofascisti e la main mise, da parte del Pci, sui rinnovandi servizi segreti.
Questi ultimi erano stati recentemente decapitati. Il dirigente dei servizi militari, Vito Miceli, aveva infatti accusato gli israeliani per l’abbattimento del nostro aereo militare “argo 16” ma in meno di un mese era stato sollevato dall’incarico.
Al suo posto sarebbero andati dei pidduisti filoisraeliani. A sceglierli, a difenderli e a cercare, in seguito, di rimetterli in sella contro il parere di Craxi, il “ministro degli interni ombra” del Pci, il partigiano Ugo Pecchioli.
Per far passare in modo indolore questo sconvolgimento degli equilibri, questa coabitazione tra comunisti, massoni e cattolici, serviva un “mostro” che garantisse l’ “unità nazionale”.
Questo mostro fu lo “stragismo” cui venne frettolosamente appiccicata l’etichetta – tuttora vigente pur in mancanza di qualsiasi elemento probatorio – di “fascista”.
Ciò fu particolarmente agevole, all’epoca, perché ministro degli interni di recente nomina era un altro partigiano, Taviani.
In quel lasso di tempo che intercorre tra maggio e agosto del 1974 lo stragismo, insomma, riusciva pienamente il suo colpo di stato.
Non solamente cambiando radicalmente la politica italiana nel mediterraneo, ma avviando il paese ad una dittatura tecnocratica e preparando la rapida, drammatica, cinica, violenta liquidazione di tutte le aree che nutrivano ideali politici. I neofascisti in primo luogo, ma anche i libertari e l’ultrasinistra.
Il 2 agosto 1980 saltava in aria la stazione di Bologna. Uno dei più efferati e corposi massacri del dopoguerra: 85 morti.
Ancora si cercano esecutori e mandanti del misfatto. Si sa, per certo, quanto segue.
Il massacro di Bologna s’inserisce in una serie internazionale che si estende a Monaco e Parigi.
La strage è stata preceduta dall’abbattimento di un aereo di linea sui cieli di Ustica.
Quest’azione pirata, attribuita agli israeliani che pensavano di aver intercettato il mezzo con il quale i francesi stavano rifornendo di uranio la centrale nucleare irachena, fu coperta in tutti i modi dalla Nato.
In pochi anni oltre quindici testimoni sono poi morti per suicidi, incidenti, o vittime di attentati.
Tutti i giudici che per Bologna hanno imboccato le piste della Nato o della massoneria (Superloggia di Montecarlo) sono stati sollevati dall’incarico.
La P 2 ha operato sempre e comunque per depistare le indagini e per incriminare i fascisti.
I massimi dirigenti del Sismi, i pidduisti Belmonte, Santovito e Musumeci, sono stati condannati, dopo le confessioni del maresciallo Sanapò, per aver tentato d’incastrare i dirigenti di Terza Posizione. Il depistaggio fu particolarmente inquietante perché i servizi misero e “fecero ritrovare” sul rapido Taranto-Milano “lo stesso esplosivo di Bologna”.
Ovviamente la condanna nei loro riguardi si è limitata al reato di calunnia (!)
La pista fu ordita sotto la regia del responsabile della Cia, Michael Ledeeen (nella foto), un falco sionista, oggi consigliere di Rumsfeld. Ledeen fu dichiarato “persona non grata” in Italia.
Oggi si è riciclato ed ha rapporti trasversali con la destra massonica e atlantistica.
Noreporter Agosto 2004
Novantasette anni fa vincevamo una Guerra Mondiale.
I nostri politicanti però permisero ai nostri “alleati” del tempo di strapparci di mano il frutto della Vittoria.
E allora, poiché c'era sangue vivo e fiero, vennero Fiume, la Marcia, la Rivoluzione e la Risorgenza.
Ventisette anni più tardi perdevamo una nuova Guerra Mondiale.
I nostri politicanti, resuscitati dai carri armati stranieri e posti sugli scranni della controrivoluzione, si arrangiarono così male dal farcela perdere con danno e ignominia e dal prosternarci più di ogni altra nazione sconfitta, senza che potessimo avere la dignità post-bellica della Germania e dello stesso Giappone.
Da allora ogni giorno che passa ci deterioramo sempre di più e tutti ci calpestano, c'insultano e ci sputano addosso.
Novantasette anni fa spezzavamo le catene, oggi andiamo al guinzaglio e con la museruola.
Ma non c'è bisogno di farci l'iniezione antirabbica, tutt'al più possiamo contrarre la rogna.