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Facciamo finta di non aver capito

a che gioco giocano e lasciamoci andare a qualche candida riflessione

CONTRO IL TERRORISMO

ora tutto è a posto. Definiti i data base dei viaggiatori non ci sarà più terrorismo. Perché, come abbiamo potuto notare, gli attentatori jihadisti non sono persone che abitano da tempo a Parigi, Bruxelles, in California, no vero? Contrordine: ci arrivano in aereo per commettere attentati. E con la schedatura dei viaggiatori e dei metodi di pagamento – con tanto di giro di vite fiscale a favore delle banche – i terroristi si fermeranno di sicuro e, se

Sono sempre più simili i commenti degli osservatori e gli umori degli spettatori che parlano di calcio e quelli che si eccitano per gli scenari mondiali.
Nel calcio ormai si è in preda a disturbi psichici e nevrastenie, con continue isterie nei confronti di giocatori, allenatori, manager, presidenti, che a corrente alternata di solo qualche ora passano dall'essere semidèi a brocchi, da eroi a traditori, da comunità coese ad ambienti di reciproco odio.
Deve dipendere dall'ipnosi indotta dal linguaggio binario, dai tempi satellitari e dalla sgradevole e imbarazzante democrazia della rete, fatto sta che siamo in presenza di una degenerazione del pensiero, del carattere, dei nervi, che oltre a rivelarsi scomposta e volgare attesta l'ormai assunta incapacità di vivere da protagonisti e soprattutto di darsi una disciplina e una verticalità.

Parigi val bene una jihad. E un golpe. E un nuovo sistema liberticida. E una sovraesposizione mediatica che la benedirà in questi giorni all’ombra del Cop 21. Perché mai? Proviamo a riassumere.

Il delirio mondialista

Come noto – si fa per dire – il sogno di un governo mondiale prende ufficialmente forma nel XVIII secolo a Londra e nelle élites dell’Impero britannico. A fine secolo Londra inizia però a subire la pressione di New York che intende scalzarla dalla testa del progetto e dal suo stesso impero. Frattanto Parigi si è andata imponendo come capitale universale delle lettere, del pensiero, della cultura e anche dello sport visto che de Coubertin pianifica le Olimpiadi moderne battendo sul tempo la Freemasons Hall di Londra. La grande esposizione del 1899, quella per la quale si erige la Tour Eiffel, fa della Ville Lumière una vera e propria capitale mondiale. I suoi servizi segreti si mischiano con quelli inglesi nel varo della Buona Novella del comunismo illuminato nel mondo. Non vi sono estranei, ovviamente, né ambienti massonici né sette magiche. Per esempio il ruolo della Bésant, la sacerdotessa teosofica della Blavatsky, sarà notevole e strategico, stesso dicasi per Papus che frequenterà quel Saint-Yves d’Alveydre di cui parleremo tra breve. La vittoria nella Grande Guerra e la pace di Versailles, con il varo della Società delle Nazioni, segneranno il trionfo congiunto dei poteri occulti statunitensi che hanno in mano la presidenza Wilson e di quelli francesi, affratellati tra loro fin dal tempo della Guerra d’Indipendenza americana.

La proposta della Sinarchia

Intanto il filosofo Joseph Alexandre Saint-Yves d’Alveydre aveva tracciato il programma di una democrazia controllata che avrebbe definito Sinarchia, con il Potere separato nei tre canonici ambiti della democrazia ma sottoposto all’Autorità gestita da insegnanti o saggi. Il progetto definito dal suo autore avrebbe dovuto essere soggetto a voto ma, a detta di decine e decine di storici e analisti, sarebbe stato adeguato e applicato di fatto dalla borghesia illuminata francese che l’avrebbe trasformato in quello una tecnocrazia onnipotente mai eletta.

Sinarchia e impasse francese

La Francia, travolta dalla riscossa tedesca prima e dalle truppe germaniche poi, vide però il suo prestigio assottigliarsi e le sue élites arrancare. Gli esponenti presunti della Sinarchia si ritrovarono così in massa ad aderire a Vichy ma, cosa ben più rilevante, a differenza degli altri “collaborazionisti” se la cavarono a buon mercato durante la sanguinosissima epurazione che fece seguito alla sconfitta dell’Asse. Tra loro e De Gaulle fu poi una continua contesa. Il ’68, in gran parte a regia americana e trozkista, diretto appunto contro De Gaulle, vide emergere due grandi figure politiche, l’una, sovversiva, era quella di Daniel Cohn-Bendit; l’altra, era quella dell’uomo d’ordine che avrebbe poi sostituito il Presidente silurato, Georges Pompidou. Un elemento saldava tra loro questi due feroci avversari, un legame speciale con la Banca Rothschild.

Una lunga ripresa

Nel post-gollismo la ripresa sinarchica andò di pari passo con la lunga marcia di rappacificazione tra Usa e Francia. Sotto Giscard d’Estaing i servizi dell’Ammiraglio Demaranches collaborarono più volte con la Cia, anche nel Caso-Moro e nei depistaggi per la strage di Bologna. Poi all’Eliseo salì François Mitterrand, che probabilmente la Sinarchia l’aveva frequentata già durante la guerra e che non ne fece mai mistero. Nel dettare le sue memorie a un giornalista chiarì che aveva sempre saputo che per governare la Francia bisognava mettere d’accordo ottanta persone e che vi era riuscito ripetutamente. La sua dottrina si può riassumere nel tentativo di dare al mondialismo un’impronta europea con una centralità francese. Il suo rapporto con gli Usa fu di confronto quasi paritetico. Dopo la parentesi di Chirac che si può riassumere come fatta di approssimazioni, fu il turno di Sarkozy – denunciato da esponenti dell’intelligence francese come ex agente del Mossad – che sottomise la Francia agli Usa. Ottenendone in cambio buona moneta, vale a dire i rapporti privilegiati tra la Borsa di Parigi e quella di New York, la partecipazione al posto della Spagna al narcotraffico latino-americano e un ruolo privilegiato in Africa e in Medio Oriente nella nuova ristrutturazione dettata dall’avanzata cinese.

Quasi cent’anni dopo

Ora è il turno di Hollande all’Eliseo con il governo Valls, fanaticamente anti-bianco, anti-maschio, anti-nazionale e anti-identitario. Il suo cammino è stato bagnato dal sangue delle stragi jihadiste e oscurato dai misteri delle manovre dei servizi e degli apparati. A Parigi si celebra il Cop 21, la grande ammucchiata golpistica sul clima inaugurata con i fiumi di sangue versato venerdì 13, praticamente alla vigilia. Lo si inaugura nel segno delle leggi speciali – perfino i diritti elementari sono sospesi - e della Politica sottomessa all’Autorità non dichiarata, come da verbo sinarchico. Parigi si ripropone oggi come capitale mondialista d’Europa mentre Hollande e Obama si concedono agli obiettivi come eredi sbiaditi di Clemenceau e Wilson all’indomani della Grande Guerra. Intanto il Cfr ha annunciato che intende spezzare l’unità europea e le possibili intese germano-russe proprio puntando sulla carta francese. E dalla Francia ci giungono i segnali del cambiamento liberticida che si estenderà a tutta Europa, insieme probabilmente alle stragi jihadiste, secondo il format americano delle Twin Towers e di tutto quel che ne è conseguito. Il secolo delle rivoluzioni popolari e delle nazioni, stando a quello che ci comunicano, sarebbe finito. E se non lo abbiamo capito ce lo sapranno spiegare fin troppo bene e non sarà affatto piacevole. Staremo a vedere.

La strage di Sharm el Sheikh sarebbe passata quasi inosservata, come tutte le tragedie del terzo mondo, se non ci fossero capitati nel bel mezzo dei turisti occidentali. E già questo la dice lunga su quanto siamo globalmente squallidi. Degli egiziani massacrati, che sono la stragrande maggioranza, non ce ne frega niente; sono “arabi”, no?, Come gli attentatori…
Ciò premesso, sarebbe opportuno comprendere cosa sta accadendo; chi ha colpito a Londra e poi in Egitto e soprattutto perché. Non è agevole: se diamo retta alla DISinformazione globale non capiamo altro che quello che vogliono farci capire; se solleviamo il velo e compiamo un lavoro certosino, possiamo trovare piste indiziarie abbastanza credibili, come fa Maurizio Blondet.
Eppure, in un frangente storico nel quale tutto è dittatura e censura, anche gli indizi che trapelano sono quelli lasciati trapelare. Non è escluso che crediamo di aver imboccato la pista giusta ed è già una pista parallela…
Meno watsonianamente preferisco lasciar perdere l’analisi scientifica a distanza di questa o quella pista e attenermi alle esperienze dirette che mi permettono di capirci qualcosa. Chi ha vissuto gli anni di piombo da protagonista sa, infatti, come funziona il terrorismo, come funziona la strategia della tensione, come si fanno i depistaggi, come si consolida un partito preso e anche come si prepara una pista di riserva, che porta agli stessi agenti segreti invischiati, ma in modo parallelo, e ti dà l’impressione di avvicinarti alla verità quando invece batti il passo. Chi ha vissuto quelle esperienze in prima persona certe cose non le immagina, le sa. E allora preferisco attenermi a quello che so.
Tanto per cominciare, il terrorismo non è possibile che nasca senza un humus. Che sia nazionalista (basco, irlandese), ideologico (brigate rosse, raf, action directe) o religioso (islamico, indù, israelita), l’humus è la condizione primaria del terrore.
L’attuale fase di tensione denominata artificialmente “scontro di civiltà” alimenta sicuramente l’humus degli integralismi religiosi. Dunque è presumibile che diversi terroristi siano arruolati nel mondo arabo; più probabilmente tra i figli degli immigrati, quelli, cioè, che più sentono il bisogno di aggrapparsi ad una qualche forma d’identità.
Il terrorismo, però, nasce in ambienti infiltratissimi; esso non può svilupparsi se i più fanatici non sono messi in condizione di agire proprio da chi li dovrebbe controllare. Da almeno quarant’anni a questa parte i vari servizi segreti utilizzano il terrorismo per diversi scopi: acquisizione di potere, manovre finanziarie, ricatti, e le potenze lo adoperano per guerre parallele anche tra alleati (francesi contro inglesi, americani contro israeliani).
Gli ambienti in cui il terrorismo pesca sono proprio quelli più infiltrati dai servizi; non solo, sono anche quelli più danneggiati dal terrorismo; nulla quanto la lotta armata mise fuori gioco le estreme negli anni di piombo; nulla quanto il terrorismo islamico nuoce oggi alle comunità musulmane.
Le autorità trovano così tanti collaboratori negli ambienti di “fiancheggiamento”, i Guido Rossa si sprecano. Tenuto conto di ciò, dell’efficacia dei servizi britannici che infiltrano ogni ambiente con numerosi agenti preparati e dei mezzi tecnici di controllo, è inimmaginabile che gli inglesi siano in difficoltà di fronte al terrorismo interno. Ci può credere solo chi non ha avuto esperienze di lotta armata, di strategia della tensione e non consoce l’Inghilterra.
Se gli stragisti la scampano vuol dire o che i poteri forti in Inghilterra vogliono e coprono le stragi, oppure che ci troviamo di fronte ad uno scontro internazionale intestino fra alleati oppure, come avvenne nel 1985 in Francia fra iraniani e israeliani, a un braccio di ferro internazionale volto a incidere sulla politica britannica. Negli ultimi due casi le reazioni inglesi, ammesso che ci siano, saranno comprensibili solo ai diretti interessati.
Se il terrorismo interno prosegue vorrà dire invece che è protetto in alto loco. Altrimenti gli inglesi, già colpevoli di averlo lasciato crescere, si dimostreranno colpevolissimi: non possono tardare più di una settimana nello scompaginarlo.
Questa è un’altra cosa che so, per esperienza diretta: i servizi riescono a spazzar via qualsiasi gruppo armato se lo vogliono ma più spesso evitano accuratamente di dare il colpo di grazia quando boccheggia: il terrorismo è il principale alleato del sistema oligarchico. Specie oggi che lo Spettacolo del Terrore fornisce il miglior collante per ipnotizzare un’opinione pubblica  durante la  spoliazione delle libertà e delle ricchezze di tutti da parte di pochi ricchi onnipotenti.
Con la qual cosa non voglio asserire che tutti gli atti terroristici siano organizzati e teleguidati dalle principali agenzie di tensione mondiale (che si trovano nei paesi-cardine dell’atlantismo: Inghilterra, Stati Uniti, Israele) né che tutti i terroristi siano prezzolati, manovrati o imbecilli.
Se l’humus viene loro garantito per volere delle autorità competenti, certamente nascono anche gruppi autonomi, autosufficienti, in grado di colpire a sorpresa, una o due volte, prima di essere sbaragliati.
La lunga scia di attentati inaugurata l’11 settembre avrà sicuramente avuto (o magari avrà) qualche variante spontanea: non è sempre di un colpo di stato strisciante o di una guerra incrociata fra potenze che si tratta.
In ogni caso se il Terrore prosegue è perché vuolsi così colà dove si puote quel che si vuole.
Poco importa allora stabilire se Tizio si è fatto esplodere o è stato fatto saltare in aria a sua insaputa con un comando a distanza; se Caio è inquadrato nelle organizzazioni stile Al Qaeda create da Cia e Mossad e gestite dall’Isi pachistano con i soldi dei magnati internazionali, come l’Uck kossovaro/albanese, o se è invece una scheggia impazzita. Questo non riguarda che lui, per noi non cambia.
Oggettivamente parlando il problema va impostato partendo da questo postulato: il terrorismo è nel sistema, il terrorismo è del sistema, il terrorismo è per il sistema.
Dunque è chi comanda che non solo lo genera ma che lo incoraggia e lo perpetua.
Che poi la tensione si acuisca ogni qualvolta vengano al pettine questioni scottanti (i coloni israeliani dovrebbero lasciare fra breve i territori occupati…) e questo comporti una sequela di morti atroci è un altro dato di cui tenere conto.

 

 

 

Noreporter maggio 2005

Il caos per mantenere un ordine innaturale: è questa la filosofia fondante di una delle oligarchie "iniziate" più influenti degli Stati Uniti, che investe il Pentagono e la Casa Bianca.
Il terrore a intermittenza: il far sentire chiunque in pericolo, creando nemici lontani e terroristi senza volto; una strategia di potere che è stata ben identificata (molto prima dell’Undici Settembre) dal politologo svizzero Eric Werner.
Siamo nell’era del Grande Fratello, guidati da élites la cui cultura cinica è il profitto ad ogni costo. Traffico d’armi e di uomini, sfruttamento di popoli e territori, disprezzo e manipolazione degli individui dispersi nelle masse: questa la pratica di potere che le oligarchie, le bande del Crimine Organizzato e del politicamente corretto celebrano da decenni. La prima voce della loro economia globale ? Il narcotraffico...
Poco importa chi ha deposto le bombe: integristi islamici, separatisti, agenti segreti, grandi investitori in borsa, pazzi psicopatici. Chi le ha volute, fabbricate, permesse, incoraggiate, è l’Ignobile Scarafaggio – forse anche acefalo – che è la risultante di tutte le componenti di quel sistema informe, difforme, nemico della Forma che ci avvolge tutti con la sua squallida ombra.
Che ci leva l’entusiasmo, ci ipnotizza nel quotidiano, ci degrada ad atomi, androidi da statistica e, ogni tanto, ci fa saltare in aria.

 

 

 

Noreporter luglio 2005

Il sostituto procuratore di Arras (la città natale di Robespierre) ha richiesto recentemente il mantenimento delle misure carcerarie nei confronti di Nathalie Ménigon, membro di Action Directe, il gruppo armato trozkista che compì attentati in Francia dal tempo delle Brigate Rosse fino agli inizi degli anni Novanta.
La decisione di rifiutare alla Ménigon l’applicazione dei benefici di legge è stata presa in quanto “essendo troppo malata, deve restare in prigione”. Bizzarra sentenza !
Nathalie Ménigon, quarantottenne, emiplegica, in sedia a rotelle, non ha potuto prendere parte attiva al dibattimento in quanto si stanca immediatamente, ha una capacità di attenzione non superiore alla mezz’ora.
La procura ha preteso che il programma di reinserzione non fosse stato avviato, ma ciò non corrisponde al vero, in quanto una persona si è dichiarata pronta ad accoglierla ed un’associazione a reinserirla nel sociale.
Le si contesta inoltre la mancanza di pentimento. Infatti elle affermò con fierezza che “se avrà luogo la rivoluzione vi parteciperà in sedia a rotelle”.
Vista l’assoluta irrealtà del quadro supposto, gente seria, uomini degni di questo nome, dovrebbero provare stima e benevolenza verso una persona che si esprime così anziché approfittarne per infierire. L’impressione è che si assista a una vendetta di stato.
Perché intanto vengono rilasciati in tempi sempre più brevi assassini di persone anziane e di bambini.  E tutte le organizzazioni umanitarie, cattoliche e socialcomuniste, si mobilitano con gran fracasso per liberarli e reinserirli.
Come mai non si battono per questa loro compagna ? Forse perché strapperebbe meno lacrime di un delinquente del terzo mondo ? Sono i  complessi culturali della borghesia  a dettare la linea ? Cosa fanno i vari Abbé Pierre ? Visto come tutti si comportano, la procura potrebbe davvero liberare la Ménigon: rischi di rivoluzione proprio non ce ne sono.

 

 

Noreporter luglio 2005

Non c’è nulla da dire. Si può morire a quarantaquattro anni per eccesso di cuore. Così è accaduto a Walter colto da un raro fenomeno di allargamento arteriale che ha finito, dopo tre operazioni e vari mesi di degenza, con lo stroncarlo. Mentre, in ambulanza, raccontava barzellette…
Si può morire fuori dalla patria perché ricercati per reati dai quali si viene costantemente assolti ? E, non appena assolti, si viene nuovamente raggiunti da altri fantasiosi mandati confezionati di sana pianta  da uno dei commissari politici del soviet supremo della magistratura rossa ?
Si può morire riuscendo a rivedere la propria terra solo ed esclusivamente da clandestino, come Walter fece a più riprese, forse presago del poco tempo a propria disposizione ?
Certo che si può. Se si è uomini generosi, coraggiosi e dignitosi. Si può eccome.
E si può essere sconosciuti nella propria terra ? Ignorati nella provincia di Lecce che, nella località di Novoli gli diede la luce e cui restò sempre legatissimo ? Si può se è vero come è vero che, essendomi recato io in loco nell’estate del 2000 non trovai nessuno dell’ambiente che ne aveva inteso parlare. E questo la dovrebbe dire ben lunga sullo stato in cui versa una sub/cultura che troppo spesso si prende per elitaria quando è soltanto emarginata.
Si può essere ricordati in televisione non dai camerati di un tempo, né da quelli che sulla pelle di tutti noi hanno fatto carriera e, almeno per questo, dovrebbero esserci grati, ma dal leader di potere Operaio, Oreste Scalzone ? Certo che si può. E anche questa la dice lunga su tante cose.
Si può esser dimenticati dai giornali d’area, non finire nemmeno sui manifesti ?
Si può non celebrare la virtù di un uomo mille volte esemplare anche e soprattutto perché normale, non “superuomo”, non ammazzasette ma inossidabile, incorruttibile, incapace di qualsiasi accomodamento e pertanto d’insegnamento a molti.
Si può non incontrarsi tra amici di un tempo, camerati o “compagni di lotta” per alzare il bicchiere al suo Ricordo e alla sua Presenza nel giorno della sua dipartita ? Si può evidentemente. Come si può non sapere, non ricordare che il nove maggio è la data del suo Congedo.
E si può non sapere che le sue ceneri, raccolte in un’urna, sono sepolte nel cimitero di Ghedi (Brescia) o magari, pur sapendolo, mai essere andati a rendergli un affettuoso saluto ?
Si può. E forse di là oltre ne sorriderà ché ben altra calma avrà raggiunto; ma noi che siamo qui non possiamo non esser colti da amarezza. E speriamo questa tendenza a dimenticarlo non venga dal fatto che non è morto ammazzato o nel contesto di uno scontro a fuoco, e che, quindi, non ci si può esaltare nel gesto commemorativo atteggiandosi a guerrieri ma ci si deve sublimare nella pietas degli antichi. E ci vien da sorridere pensando che uno dei cognomi da lui scelti in latitanza fu Prisco appunto: antenato, avo. Era dunque presago di tutto, al punto di ammonirci anche su questo ?
Chissà. Mi auguro che questa miseria stia tutta nella distrazione cui c’induce il mondo moderno. Eppure qualcuno dovrebbe essere al di spora da questa distrazione, se no come fa a fare il capo, il capetto, il dirigente, il capobranco, o persino il carrierista ? Forse la morale è che nessuno ne ha diritto, stoffa, vocazione, statura. Forse la morale è Che Walter, ora come allora, fa da cartina di tornasole. E la reazione (chimica) non è ancora riuscita. Riparliamone fra un anno, in questo, una volta ancora, si è fallito.
In attesa di una prova di appello, di un ricordo vivo (magari scritto, un “omaggio a Walter” con i pensieri, le memorie di chi lo conobbe) chiudiamo con un magnifico omaggio che gli fecero in Francia quando fu stampato il “faire part” del suo Decesso: le stesse parole dedicate ai combattenti europei morti sul fronte lontano dalle terre natie: “Und wen den Tod in heiligen kampfe fand, ruht auch in femder Erde in Vaterland !”
“E se si trova la morte in una causa santa, si riposa in Patria anche in terra straniera.”
Ma la Francia per Walter non è mai stata davvero straniera. Auguriamoci che un giorno possa tornare a dire lo stesso anche dell’Italia.

 

 

Noreporter maggio 2005

30 Aprile 1945, nel suo bunker a Berlino il Cancelliere tedesco decide di darsi la morte. I sovietici sono a pochi metri dalla Cancelleria, la Capitale resiste ancora in qualche rione e in cunicoli della metropolitana; la Wehrmacht ha già deciso di arrendersi nell’illusione di risparmiare vite tedesche. Ma i sovietici stanno stuprando e massacrando cittadini tedeschi a decine di migliaia. Il Capo di Stato dell’Urss, Stalin, ha deciso di festeggiare a Berlino il 1 maggio: quella festa dei lavoratori che Adolf Hitler ha istituito in Germania e che per il comunista “ortodosso” è una blasfemia. Quel primo maggio segnerà anche simbolicamente il trionfo dei “lavoratori” comunisti, poco importa se armati, foraggiati, riforniti e militarmente sostenuti da tutte le potenze capitaliste. Ma c’è chi accetta quell’ultima sfida. Alcuni giovani tedeschi, dei vecchi, dei feriti e, soprattutto, un pugno di volontari francesi della Divisione Charlemagne. “Resistiamo fino a che il primo maggio non sia finito” si dicono quei pazzi, degni eredi di Cyrano de Bergerac. E lo fanno, sono si e no una sporca dozzina ma resistono; difendono il bunker, si fanno macellare ma resistono. Con loro qualche tedesco: “Stalin non passerà il primo maggio !” E difatti non passa. Quella sporca dozzina sembra insuperabile. I pochi metri che separano i sovietici dall’immortalare la vittoria risultano impraticabili. I volontari tengono duro tutto il primo maggio, e vanno avanti fino al due inoltrato. Poi, miracolosamente, qualcuno di loro riesce a porsi in salvo per le macerie della metropolitana. Tra di essi il comandante, il capitano Henri Fenet, immortalato da Saint Paulien con lo pseudonimo di Gauvin ne “I leoni morti” recentemente ristampato dalla Ritter, Milano.
Inizierà, per Henri Fenet, una lunga sopravvivenza nel mondo dei morti vivi, come per tutti i Reduci del fronte dell’Est che hanno, senza alcuna esclusione, mantenuto la prerogativa di una giovinezza eterna, di un’allegrezza eccezionale e di un’indole radiosa. Tornerà da una totale, mondiale sconfitta ma anche da una vittoria dell’orgoglio disperato. Zukov, il comandante scelto da Stalin, non ha potuto festeggiare il primo maggio sulle rovine della Cancelleria perché un pugno di francesi lo ha inchiodato a pochi passi di lì combattendo senza speranze e senza motivo, nel pieno della filosofia degli Arditi che diede vita alla Rivoluzione: “me ne frego!”
Merci mes braves !

 

 

 

Noreporter Maggio 2005