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Giorno dopo giorno procede l’operazione hollywoodiana tramite la quale si fabbrica la colpevolezza di Bin Laden in modo di giustificare la crociata americana in Afghanistan, che in realtà è mossa dall’oppio e dal petrolio.
Bush però sa bene che le Twin Towers ed il Pentagono sono stati attaccati da ben altri soggetti ed anzi sembra voler chiaramente additarne uno in particolare.
Il 2 ottobre ha difatti annunciato l’intenzione americana di riconoscere lo Stato di Palestina, e lo ha fatto usando parole significative.
Mercato di schiavi
Non è vero che chi si oppone all’immigrazione disprezza gli immigrati
né che li stima chi la favorisce.
Osserviamo da vicino la trappola dialettica, ideologica e giuridica
che impedisce un adeguato approccio al problema.
La confusione sul razzismo e sulla xenofobia, il ruolo delle oligarchie di sfruttatori.
Alla ricerca di un'impostazione corretta, giusta e realistica della questione.
di Gabriele Adinolfi
Negli ultimi tre mesi sulle pagine di Orion si è spontaneamente riaperta la problematica dell’immigrazione, una questione che, da oltre un anno non avevamo affrontato. Non certo per mancanza di argomenti, per impreparazione o per pavore ma in quanto detto tema nell’area radicale è banalizzato e a noi premono soprattutto tematiche nuove, approfondimenti ed angolazioni speciali.
Più di un lettore – e di un redattore – morde però il freno e non si vede perché non dovremmo accontentarli.
Globalizzazione e potere
Come affrontare il post-democrazia
Il potere oligarchico, viene esercitato ovunque e con sempre maggior arroganza.
I componenti delle società occidentali hanno abdicato al ruolo
di cittadini per trasformarsi in sudditi.
Questo potere, di fatto impolitico e fondato sul disprezzo dell’uomo, ci fa apparire la politica come desueta e ci offre del domani una sola idea: quella della schiavitù.
Alla base di queste impressioni ci sono dei gravi errori d’impostazione: le dinamiche in atto, se le si comprendono e se si impara a comportarsi di conseguenza, ci offrono addirittura soluzioni insperate.
di Gabriele Adinolfi
Oggi nell’era globale, il quadro politico è completamente mutato rispetto ai secoli passati. La partecipazione popolare al potere, per quanto mediata ed indiretta fosse un tempo, è venuta completamente meno. Il potere è appannaggio di oligarchie finanziarie e tecnologiche sempre più transnazionali; l’opinione pubblica è vieppiù frantumata ed omologata: il loro intervento nelle decisioni politiche è nullo ma per quanto possa sembrare incredibile, comodamente seduti davanti agli schermi della televisione e del computer con il quale navigano per internet, i sudditi occidentali cullano l’illusoria sensazione di contare e di partecipare.
Globalizzazione e società
Quello strano mondo nel quale vivremo
di Gabriele Adinolfi
I. La tendenza: verso la disintegrazione
Lo smarrimento delle capacità di relazionarsi ha prodotto l’atomizzazione ed il deserto:
l’isolamento, l’incomunicabilità e la difficoltà di concettualizzare.
Il confine sempre più vago tra reale e virtuale e la mancanza di concentrazione c’inchiodano ad uno stato di quotidiano sonnambulismo.
Se ci chiediamo come la società reagisca all’attuale processo di globalizzazione, la risposta corretta è una sola: scomparendo.
Se per società s’intende quella che nei secoli hanno concepito i nostri antenati e ciò che l’etimo stesso indica, ovvero un’alleanza tra uomini, una compartecipazione alle scelte di vita, un’armonia plurale, non possiamo non convenire che, a titolo provvisorio o definitivo che sia, essa abbia cessato di esistere.
Tra falsi scopi e falsi miti
Essere spada
Non vi è alcuna alternativa politica possibile per chi non abbia preso coscienza dell’epoca e della sua precisa valenza psichica e spirituale.
A quel sonnambulismo che caratterizza l’attuale stato di coscienza, va contrapposta la presenza a se stessi.
Al totalitarismo uniformante, spiritualmente invertito, adagiato sul modello caricaturale della “Grande Madre” va opposta la virilità spirituale. Vera, reale, verificata.
Al dominio incontrastato del Crimine Organizzato urge costituire l’alternativa dell’autonomia autocentrata, che sia al passo con i tempi o addirittura in anticipo su di essi.
di Gabriele Adinolfi
Perché viviamo, perché lottiamo, perché mai facciamo parte di un mondo culturale, politico, umano, anziché di un altro ?
Sono domande a dir poco essenziali dalle cui risposte dovrebbe dipendere l’intero avvenire di un uomo; eppure sono interrogativi che oggi solo in pochi si pongono perché da tempo, da troppo tempo, ci hanno abituati a vivere in stato di sonnambulismo, in una sorta di automatismo psichico.
Esistiamo?
Il discorso intitolato “Come essere avanguardia nel mondo globalizzato” tenuto al II Colloquio di Tierra Y Pueblo alla Masia di San Juan, presso Valencia
Gabriele Adinolfi
Non vi terrò un discorso esaltante bensì critico, perché è il compito che da tempo mi sono dato.
Iniziamo col chiederci: perché siamo qui? Cosa ci caratterizza, cosa ci unisce? Forse un sogno, un modello da perseguire; oppure il piacere di riconoscerci fra coloro che stanno fuori: fuori gioco, fuori dal mondo, all’indice; o invece a riunirci è la presunzione di aver capito le cose più di chiunque altro e la convinzione che, se ci dessero il potere, faremmo meraviglie?
Facciamo un passo indietro di circa sei anni. Tra lo scetticismo generale suonai la campana d'allarme avvertendo che si puntava a instaurare in Italia la cittadinanza turistica utilizzando Balotelli. Qualche giornalista, lette le mie posizioni, scrisse che i fascisti volevano ripartire dal diritto di sangue. Invitai pure a non sostenere l'Italia agli europei del 2012 e ai mondiali del 2014 perché quel sentimento enfatizzato riguardo i “nuovi italiani” in versione bomber ci si sarebbe rivolto contro. Poi Balotelli, per fortuna, rovinò tutto.
Ma lo Ius Soli è stato ripresentato e se qualche giorno fa non è passato lo si deve all'assenza dei numeri legali nell'aula del Senato.
Ora si brinda. Leggo toni trionfalistici ed euforici da parte di tutte le componenti della destra per la vittoria conseguita contro questa minaccia di cui per diversi anni nemmeno si erano accorte.
La domanda è: tutti quelli che avocano a sé questa vittoria, possono davvero gioire?
La risposta è no: tutt'al più possono tirare un sospiro di sollievo ma anche in questo caso rischiano semplicemente di abbassare la guardia per nulla.
Parigi. Funerali di Johnny Halliday. Nessun uomo politico, neppure De Gaulle, ne aveva avuti di così imponenti, sentiti, partecipati. Il mio primo riflesso, lo ammetto, è stato quello tipico dell'imbecille che guarda gli altri con sdegno. “A cosa si è ridotta l'umanità, ecco cosa si merita, solo eroi da palcoscenico”. Sono certo che lo avete pensato anche voi e temo che lo pensiate ancora. Io invece ho potuto assistere a scene che aprono gli occhi. Un milione di persone, questa è la stima, ha occupato le strade di Parigi fin da prima dell'alba, molte erano venute da regioni lontane. Settecento motociclisti hanno fatto da apripista d'onore al feretro. Dovevano essere tremila ma la polizia ha preteso che il numero fosse ridotto per non essere debordata. Gente di ogni età, dai dodici agli ottant'anni con gli occhi lucidi, venuta a dare l'addio a chi è stato la colonna sonora della loro vita, per prendere in prestito le parole di Gianluca Iannone alla morte di Massimo Morsello.