Main menu
Gli Stati Uniti stanno per attaccare. Isolati, arroganti, forse vincenti a brevissimo termine, perdenti comunque, perché ben prima del previsto ne pagheranno il prezzo.
Condannati da ogni opinione pubblica, stigmatizzati da tutti gli statisti, da tutti i capi politici e religiosi di peso del pianeta, gli sbalorditi americani hanno visto di recente innalzarsi una sola, rassicurante, voce amica, quella di Oriana Fallaci.
Gli Usa vivono catturando capitali stranieri e riescono a farlo solo perché le condizioni offerte sulla piazza finanziaria, tra buoni pubblici e titoli privati, è eccellente. Tuttavia le crisi recenti, come quella della Enron, sono capitate come colpi di mannaia sul collo dell’economia americana. Soprattutto perché hanno messo a nudo un forte livello di corruzione e di combines finanziarie mettendo dunque in evidenza la poca sicurezza dei capitali e ciò a tutto vantaggio franco-tedesco.
In tal senso non va sottovalutato il fatto che la scorsa estate l’Arabia Saudita abbia trasferito un terzo dei suoi investimenti dagli Stati Uniti a Francoforte.
Gli Americani devono attaccare a breve, non possono farne a meno, ma sono in difficoltà.
Persino la Turchia, il Kuweit e i guerriglieri curdi hanno improvvisamente fatto marcia indietro, per intero o a metà, magari per far lievitare il prezzo del loro intervento o forse perché non ritengono più tanto conveniente sostenere Bush.
Per far pressione sul parlamento anatolico il Pentagono sta ora facendo leva sull’esercito turco. Ultima ratio: mostrare i muscoli.
Due domeniche orsono Enrico Belardinelli scriveva su Rinascita un articolo chiarificatore ben al di là di quanto lasci intendere il titolo (Democrazie e libertà sono la copertura delle ambizioni imperiali americane). Il nocciolo dell’articolo stava in un fatto che a noi personalmente appare lapalissiano, ma ai più, se non quasi a tutti, sfugge. E cioè che la guerra mossa dagli angloamericani all’Iraq è una guerra all’Europa o meglio all’asse francotedesco. Lo è in quanto punta ad impedire qualsiasi residuo di autonomia energetica alle due principali potenze politiche, economiche e diplomatiche del nostro continente. A quella coppia politica che, da quanto dice chiaramente Brzezinski, e cioè il maître à penser della strategia estera americana dell’ultimo quarto di secolo, bisogna assolutamente dividere.
La medesima analisi la esprimevamo in Orientamenti & Ricerca da Parigi nel 1990, in imminenza dell’attacco di Bush Sr all’Iraq, Walter Spedicato ed il sottoscritto.
È tempo che andiamo affermando, e siamo contenti di trovare autorevoli riscontri, che tutta la politica estera americana da una dozzina d’anni a questa parte è volta contro l’Europa oltre che al controllo dell’Asia Centrale e alla razionalizzazione del narcotraffico. Tutto il resto è facezia, o come dicono gli anglofobi, bullshit, cioè cacca di bue, il che mi pare particolarmente appropriato.
La situazione irachena è entrata in un vicolo cieco e presenta al Pentagono e alla Casa Bianca solo quattro soluzioni:
1° Inventare un pretesto bellico assolutamente incredibile.
2° Attaccare contro il parere dell’Onu e soprattutto, contro quello dei Russi e dell’Europa, con il solo sostegno britannico ed in violazione delle regole internazionali.
In pieno cerimoniale di quaresima resistenzialista giunge nei cinema italiani un film assai particolare.
“Der Untergang” narra gli ultimi giorni della Germania - e non soltanto quelli di Adolf Hitler – durante la Seconda Guerra Mondiale.
Speravamo ci fossimo liberati per sempre da certa retorica di parte che non si sa se ci dà più fastidio perché semina odio o per quanto è palesemente imbecille. E invece si ricomincia.
L’ultima sera di agosto, quel mese così caro agli stragisti fin dal 1945, è andata in onda su Canale 5 il film di Renzo Martinelli “Piazza delle cinque lune”.
Privo di notevoli mezzi, il film si tiene tutto sulla recitazione fantastica di Donald Sutherland (un Procuratore Capo della Repubblica in pensione), del suo ambiguo caposcorta (Giancarlo Giannini) e di una davvero eccezionale Stefania Rocca (la sua collaboratrice). Complimenti, l’impresa non era affatto facile.